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Raccomandazioni

Linee guida e ordinanze balneari sono disomogenee: a rischio la vita dei turisti e le responsabilità legali dei titolari di lidi.

Nella controversa e delicata questione delle bombole di ossigeno utilizzate per l’emergenza nel settore balneare, è intervenuta la Società italiana di medicina subacquea e iperbarica (Simsi), accreditata dal Ministero della salute per la produzione delle linee guida, che a metà dicembre 2020 ha ritenuto opportuno emanare dei chiarimenti in merito all’utilizzo dell’ossigeno normobarico (a pressione ambiente) per il soccorso di infortunati in acqua con lo scopo di ridurre la mortalità per sindrome da sommersione e incidente subacqueo. Consigliamo quindi ai titolari di ogni stabilimento balneare e piscina di leggere tutto l’articolo, così da acquisire le informazioni necessarie per fare un’attenta valutazione sulle proprie responsabilità in caso di annegamento.

La decisione della SIMSI, come riportato nel documento “Raccomandazione sull’utilizzo dell’ossigeno normobarico (a pressione ambiente) nel soccorso a infortunati in acqua, emanati dal Ministero della Salute del 23/06/2020”, è scaturita dalle principali criticità riscontrate nel soccorso degli infortuni in acqua. Queste criticità riguardano la disomogeneità delle linee guida, norme e ordinanze balneari emanate dalle diverse Capitanerie di porto e Regioni di tutto il territorio nazionale. Le discrepanze si hanno in merito all’abilitazione del soccorritore non sanitario, alla somministrazione dell’ossigeno medicale, alla tipologia di dispositivo per la erogazione dell’ossigeno e al canale di distribuzione di tali dispositivi. Il gruppo di lavoro della SIMSI, composto da medici esperti nell’annegamento, ha dichiarato che è

«fortemente inappropriato, per la gestione del soccorso a vittima di incidente in acqua, l’utilizzo di dispositivi per la somministrazione di ossigeno monouso».

Questa precisa affermazione è da ricercare nelle caratteristiche costruttive della bombola monouso, a partire dalla sua ridotta capacità di 950 ml fino alla mancanza di una valvola che regola il flusso dell’ossigeno e un manometro che permetta di monitorare la quantità contenuta nel cilindro. Tali circostanze, infatti, non consentono di rispettare le linee guida per la somministrazione di ossigeno nelle emergenze in ambito acquatico (mare, fiumi, laghi, piscine e acque confinate), sia per il soccorso in caso di sindrome da sommersione che per l’incidente da decompressione subacquea. Pertanto la SIMSI, sulla base di evidenti carenze del suddetto presidio sanitario, dichiara senza mezzi termini che

«è raccomandato fortemente di evitare l’uso della bombola monouso perché le tecnologie oggi a disposizione sul mercato non le rendono una soluzione sicura».

Il team di medici della SIMSI pone inoltre l’attenzione sulla necessità che il personale addetto al salvataggio sia debitamente addestrato: «È fortemente raccomandato che, come indicato da circolare del Ministero della salute del 2012, l’utilizzo del dispositivo per la somministrazione dell’ossigeno sia consentito al soccorritore non sanitario (il quale differisce dal personale laico in quanto è formato e dispone di presidi sanitari per la gestione delle emergenze)». Marcando così una netta distinzione tra il soccorritore laico occasionale (addestramento base) e quello specializzato (addestramento avanzato) quale appunto il bagnino di salvataggio. Quest’ultimo, in considerazione del ruolo ricoperto, pur non essendo un soccorritore sanitario, deve possedere le competenze per gestire un’emergenza con la ventilazione assistita arricchita di ossigeno, attraverso l’uso di presidi come il pallone autoespandibile munito di reservoir. A ribadire poi la relazione della SIMSI è arrivata, ad appena un mese di distanza, quella dell’Italian Academy of Rescue and Resuscitation (IARR), che conferma le stesse raccomandazioni nel proprio documento “Utilizzo dell’ossigeno nell’annegamento”. In questo esposto la IARR propone un’approfondita analisi sulla fisiologia e le cause dell’annegamento basandosi su recenti studi scientifici internazionali e affronta la questione delle bombole di ossigeno in stabilimenti balneari e piscine. Riportiamo un passaggio: «Un idoneo equipaggiamento per la somministrazione di ossigeno per il primo soccorso non dovrebbe prevedere l’uso di bombole monouso, ma essere costituito da bombole ricaricabili da 3 o 5 litri, di proprietà del titolare di AIC (Autorizzazione Immissione in Commercio), fornite dotate di riduttore e flussimetro regolabile integrato nel gruppo valvole, evitando il modello di bombola con la sola valvola apri-e-chiudi a cui poi deve essere montato un riduttore di pressione acquistato separatamente». Se le raccomandazioni delle due autorevoli società medico scientifiche non bastassero, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), a gennaio 2020, ha risposto a un appello di Salvamento Academy aggiungendo che, pur riconoscendo la semplicità di uso delle bombole monouso, «il problema principale sembra sia costituito dal fatto che le bombole monouso da 1 lt possono essere acquistate anche online (e senza ricetta medica, come invece espressamente richiesto dall’AIFA), presso siti di vendita generalizzata e potrebbero, come si è evinto da una breve ricerca sul web effettuata dallo scrivente istituto allo scopo, rivelarsi vuote o non completamente piene al momento della consegna». L’ISS quindi, pur affermando che le bombole monouso possano essere utilizzate (questo prima dell’esposto sugli studi scientifici precedentemente citati), aggiunge che

«questo istituto ritiene che le bombole monouso in caso di emergenza balneare possono essere utilizzate, se possedute in numero sufficiente a garantire l’assistenza a 1-2 soggetti» e, prosegue, «si consiglia pertanto la detenzione, nel materiale di primo soccorso, di non meno di 5-6 bombole monouso erogatrici di ossigeno»

A dimostrazione della grande confusione e impreparazione che regna in questo contesto, oltre alla totale disomogenea interpretazione delle capitanerie sui dispositivi di primo soccorso e il loro corretto utilizzo, lo scorso anno arriva la notizia (diffusa dalle maggiori agenzie stampa) che la Capitaneria di porto di Napoli, in piena emergenza pandemica, ha recuperato le bombole di ossigeno dai diving locali per consegnarle alla Croce rossa italiana, che a sua volta le avrebbe utilizzate per l’assistenza ai pazienti affetti da Covid-19. Un’iniziativa senz’altro lodevole, se non fosse che le foto scattate dallo stesso personale della capitaneria, pubblicate insieme ai dettagli dell’operazione da tutti i maggiori quotidiani nazionali, evidenziano in modo inequivocabile come una buona parte di quelle bombole non siano conformi a quanto disposto dalla legge: a partire dal colore del cilindro (bianco) che ne individua il contenuto (ossigeno medicale) fino alla mancata presenza dell’etichettatura che ne certifichi la tracciabilità del produttore (lotto e AIC) e la scadenza dell’ossigeno (24 mesi). Quindi, in sostanza, manca la garanzia che il contenuto sia effettivamente un farmaco somministrabile per la cura del paziente (incluso un subacqueo che ha subito un infortunio da decompressione), perciò quelle bombole non dovrebbero comunque trovarsi a bordo di una barca del diving. Insomma, appare chiaro che le dotazioni di primo soccorso in stabilimenti balneari, piscine e scuole sub per la gestione dell’emergenza in caso di annegamento debbano essere aggiornate secondo le raccomandazioni scientifiche e speriamo siano oggetto di attenta valutazione da parte del Comando generale delle Capitanerie di porto, quale primo destinatario delle raccomandazioni da parte del SIMSI già da dicembre. Le istituzioni sono state chiamate a dare una risposta concreta e definitiva ormai da diversi anni, a partire dalle prime segnalazioni di criticità sollevate riguardo alle dotazioni di primo soccorso utilizzate per l’assistenza alle vittime che subiscono l’annegamento, perciò l’inerzia e l’indifferenza dimostrate non sono assolutamente comprensibili. Una cosa è certa: domani, nel caso in cui un giudice, indagando su un annegamento, decida di approfondire la materia, venendo a conoscenza dei documenti di SIMSI e IARR, non avrebbe probabilmente molti dubbi su chi far ricadere le responsabilità, in quanto sia il documento di valutazione dei rischi (DVR) che le ordinanze di sicurezza balneare sono firmate con nome e cognome.

Note: Il gruppo di lavoro della SIMSI è costituito da Gianluca Baroni, Corrado Costanzo (coordinatore), Francesco Fontana, Pasquale Longobardi (presidente SIMSI), Stefano Mancosu e Riccardo Ristori (IARR), medici esperti in materia di incidenti subacquei.
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